martedì 12 marzo 2013

L'altra faccia del glutine


Lo spettro dei disordini correlati al glutine si è arricchito negli ultimi tempi di una nuova condizione morbosa definita “Gluten Sensitivity” o “Sensibilità al Glutine”, la quale va ad aggiungersi alla celiachia ed all’allergia al grano, conosciute da tempo. A differenza dell’allergia al grano e della celiachia, che sono malattie ben definite con criteri diagnostici universalmente accettati, la “Gluten Sensitivity” rappresenta una nuova entità, i cui criteri diagnostici sono ancora oggetto di definizione e discussione.

La “Gluten Sensitivity” si caratterizza sul piano clinico per una sintomatologia, che si manifesta in seguito all’assunzione di glutine, caratterizzata da sintomi gastrointestinali (meteorismo, dolori addominali, diarrea o stipsi o alvo alterno) ed extraintestinali (sonnolenza, difficoltà di concentrazione, annebbiamento mentale, cefalea, artromialgie, parestesie degli arti, rash cutanei tipo eczema, depressione, anemia, stanchezza cronica). Tale quadro clinico va in remissione con l’eliminazione del glutine dalla dieta. La risposta alla sottrazione del glutine è in genere rapida e porta ad un significativo miglioramento clinico nel giro di pochi giorni. Tale condizione è estremamente frequente nella popolazione generale,  è circa 6 volte più frequente della celiachia. In pratica si può affermare con buona approssimazione che, se il numero di celiaci attesi in Italia è di circa 500.000 unità, i pazienti con Gluten Sensitivity sono almeno 3 milioni.  La Gluten Sensitivity si manifesta dall’età adolescenziale all’età adulta, mentre è estremamente rara in età pediatrica.
A parte il quadro clinico appena descritto con sintomi, che ad onor del vero sono spesso molto simili a quelli dell’allergia al grano e della celiachia, la diagnosi di Gluten Sensitivity è al momento una diagnosi di esclusione, caratterizzata dalla negatività dei test immunologici per l’allergia al grano (anticorpi di classe IgE diretti verso il grano e PRICK test), dalla negatività per la sierologia tipica per celiachia (anticorpi antiendomisio ed antitransglutaminasi) e da una biopsia intestinale normale o con alterazioni minime (Marsh 0 o Marsh 1 con incremento dei linfociti intraepiteliali, ma con villi assolutamente normali).
La Gluten Sensitivity non dispone al momento di marcatori anticorpali specifici atti ad identificare questa condizione e l’unica alterazione immunologica che è possibile ritrovare nei pazienti con sensibilità al glutine è la positività per anticorpi antigliadina di prima generazione, i ben noti AGA, che vengono ritrovati positivi nel 40-50% dei pazienti con Gluten Sensitivity. Generalmente, la positività degli AGA nei casi di GS è di classe IgG, più raramente di classe IgA. Sul piano genetico la Gluten Sensitivity presenta una positività per HLA-DQ2 e/o DQ8 nel 50% dei casi circa rispetto al riscontro di questi marker genetici nel 99% dei celiaci e nel 30% della popolazione generale. 

Da tempo gli studiosi delle patologie da glutine si erano accorti dell’esistenza di una condizione di sensibilità al glutine in assenza di criteri diagnostici compatibili con una condizione di allergia al grano o di celiachia, ma questi pazienti sono rimasti per molti anni in vero e proprio limbo, venendo spesso considerati dei pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile o con problematiche di tipo psicologico ed ansioso–depressivo o pazienti da sorvegliare per il possibile sviluppo in futuro di celiachia.

Lo studio condotto dalla Università di Baltimora (Maryland, USA) e dalla seconda Università degli Studi di Napoli, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica BMC Medicine, fornisce importanti elementi per definire i meccanismi patogenetici della Gluten Sensitivity.
Partendo dall’analisi dei meccanismi molecolari e di risposta immunitaria il gruppo di ricercatori, coordinati da Alessio Fasano, ha dimostrato che la Gluten Sensitivity non presenta alterazioni della permeabilità intestinale, che invece, come è ben noto, è significativamente aumentata nella celiachia.
I ricercatori hanno inoltre dimostrato che all’origine della Gluten Sensitivity e della celiachia vi sono diversi meccanismi patogenetici, con un’alterazione dell’immunità innata  alla base della Gluten Sensitivity (documentatta dagli elevati livelli mucosali del marker di immunità innata  Toll-like-recptor 2) e dell’immunità adattativa alla base della celiachia (elevati livelli mucosali di IL-6 e IL-21, marker di immunità adattativa).
Lo sviluppo di queste nuove conoscenze consente di caratterizzare ulteriormente la Gluten Sensitivity come un’ entità nosologica ben definita. E’ chiaro che c’è ancora sicuramente molto lavoro da fare per una definizione corretta di tutti i parametri clinici, immunologici e genetici della Gluten Sensitivity.
Nel prossimo futuro sentiremo parlare spesso di questa nuova entità nosologica, la cui migliore definizione sul piano diagnostico consentirà di risolvere un problema sempre più emergente nel campo dello spettro dei disordini correlati al glutine.

giovedì 7 marzo 2013

Il colesterolo cattivo alleato dei grassi idrogenati


Se fino ad oggi nella dieta bisognava stare attenti al colesterolo buono HDL e a quello cattivo LDL ora sembra esserci una nuova variante di quest'ultimo, l'ossicolesterolo. L'allarme arriva dall'Università di Hong Kong dove un gruppo di ricercatori cinesi, coordinati dal dottor Zhen-Yu Chen, ha scoperto che il cibo spazzatura contiene una variante del colesterolo cattivo (LDL) molto più pericolosa per l'organismo. Lo studio è stato presentato in occasione della 238esima edizione del meeting dell'American Chemical Society (Washington, Agosto 2009).
Da cosa si origina questa variante di colesterolo cattivo? L'ossicolesterolo nasce dall'ossidazione dei grassi, un processo che le aziende sfruttano per generare particolari sostanze utili in campo alimentare per migliorare consistenza, sapore e stabilità dei cibi lavorati. L'ossicolesterolo, che è presente soprattutto negli alimenti tipici da fast-food, contribuisce si a migliorare la capacità di conservazione dei cibi e il sapore ma allo stesso tempo aumenta il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari come l'aterosclerosi (l'indurimento progressivo delle arterie).
Le conclusioni dei ricercatori sono frutto di uno studio che ha esaminato due gruppi di cavie, uno alimentato con una dieta sana mentre l'altro con una dieta particolarmente ricca di alimenti contenenti ossicolesterolo. Dalle analisi è emerso che i topolini nutriti con alimenti ricchi di ossicolesterolo, rispetto a quelli che hanno seguito una dieta sana, presentavano dei livelli di colesterolo superiori del 22 per cento e l'analisi condotta sui vasi sanguigni ha fatto rilevare un'elevata produzione di placche aterosclerotiche.
Il dottor Zhen-Yu Chen conclude mettendo in guardia i consumatori, l'esperto spiega che molte aziende alimentari aggiungono intenzionalmente ossicolesterolo ai cibi sotto forma di grassi idrogenati per migliorare il sapore e la capacità di conservazione degli alimenti. A differenza dei grassi saturi, presenti nei grassi animali (strutto, burro, parte grassa delle carni) e nei formaggi, che nelle quantità corrette sono utili all'organismo, i grassi idrogenati non servono e, stando a quanto concluso dallo studio cinese, sono più nocivi.

Il cuore del carciofo


Il Carciofo è una delle più utili e salutari piante mediterranee. Famoso per il suo uso culinario, ha importanti proprietà terapeutiche. Secondo il Columella (primo secolo dopo Cristo) deve il nome di Cinara, poi divenuto Cynara, al termine "cenere", perché con questa veniva concimata la pianta, mentre per altri autori Cinara era una giovane che secondo la tradizione venne trasformata in carciofo. Scolymus è il nome greco attribuito al cardo e significa spina, mentre Carciofo è una parola di derivazione araba, Kerschooff. I principi attivi del Carciofo sono contenuti nelle foglie, e tra questi il più interessante è la Cinarina; essa è presente in concentrazione massima durante la formazione del capolino, che è poi la parte della pianta che viene usata in cucina. Le principali proprietà delle foglie del Carciofo sono quelle coleretiche e colagoghe: è stato dimostrato infatti che il flusso biliare può essere aumentato fino al 90% in più rispetto ai valori basali, e che questo effetto non diminuisce nel tempo e, dunque, si presta anche a trattamenti prolungati, specie in caso di bile densa, sabbia biliare e tendenza a produrre calcoli nella cistifellea. L'azione diuretica è altrettanto importante e si evidenzia pienamente dopo circa sei giorni, promuovendo così la funzione depuratrice renale, grazie ai composti flavonici e ai sali minerali, in particolare potassio e magnesio, che il Carciofo contiene. I principi attivi contenuti nelle foglie del Carciofo influiscono anche nel ricambio del colesterolo e dei trigliceridi, siano essi di origine alimentare o endogena, aiutando a mantenerne bassi i livelli a tutto vantaggio dell'apparato cardiovascolare. Un'altra importante e complementare azione del Carciofo è quella epatoprotettiva e antitossica, che si manifesta su diverse sostanze tossiche, in particolare sull'alcool, di cui riescono a ridurre la presenza nel sangue per effetto dell'aumentata diuresi e per un'accelerazione del metabolismo dell'etanolo. Questi effetti, studiati in particolare sulla cinarina, sono da ascrivere al miglioramento dell'attività dell'epatocita, a una più marcata coleresi (secrezione di bile), e a una maggiore capacità di mantenere il colesterolo in soluzione nel siero, anche per un'evidente escrezione del colesterolo attraverso la bile. Sono state riscontrate anche proprietà rigeneratrici del parènchima epatico, oltre alla capacità di migliorare le funzioni secretive e motorie del tubo digerente, favorendo anche la peristalsi. Il carciofo è normalmente ben tollerato a livello gastrico e sistemico. Va evitata l'assunzione in caso di ipersensibilità accertata verso uno o più componenti, ed in pazienti affetti da calcolosi delle vie biliari. Per la generosa presenza di inulina, l'impiego di carciofo va evitato in caso di fermentazioni intestinali abbondanti. Analogo discorso durante l'allattamento, a causa delle possibili riduzioni della portata lattea.